Nel cuore dell’Abruzzo, a pochi chilometri da Sulmona, sorge Pacentro, un borgo montano che si arrampica tra i fianchi del Parco Nazionale della Majella con la stessa grazia con cui i suoi vicoli si snodano tra le case in pietra bianca.
Guardandolo da lontano sembra quasi sospeso nel tempo, protetto dalle sue torri merlate e abbracciato dalla natura selvaggia che lo circonda, non è solo uno dei borghi più belli d’Italia ma anche un luogo in cui si respira una cultura profondamente legata alla terra, alle mani delle donne, alla lentezza di un passato che continua a vivere nei gesti quotidiani.
Arrivare a Pacentro significa entrare in una dimensione in cui tutto sembra essersi fermato: la pietra domina ovunque, nei gradini, nei portali incisi, nei tetti che si confondono con il colore della montagna. Ma a fare la vera differenza, più della scenografia intatta, è il modo in cui il paese racconta sé stesso, attraverso il profumo del sugo che sobbolle sulle stufe economiche, le conserve allineate in cantina, i racconti tramandati a voce e i piatti preparati ancora come un tempo.
Dopotutto la cucina non è solo memoria, è anche resistenza.
Il cuore del borgo: una trama di pietra e silenzi
Camminando per Pacentro si viene subito catturati da una sensazione precisa: quella di essere dentro un racconto, perché i vicoli si stringono e si aprono come pagine e ogni angolo sembra avere qualcosa da sussurrare. Non è raro imbattersi in una donna anziana seduta al fresco, intenta a sgranare fagioli o a raccontare una storia a chi ha tempo per ascoltare.
Gli archi in pietra, le scale che salgono a terrazze nascoste, le fontane scolpite, tutto sembra parte di un mosaico che ha scelto di non farsi scalfire dal tempo.
Il Castello Caldora, che domina il borgo, è uno dei meglio conservati d’Abruzzo. Dalle sue torri si apre una vista che abbraccia l’intera Valle Peligna, con le vette della Majella che appaiono vicine, familiari, quasi a voler proteggere il paese; è un castello che ha visto guerre, amori e ritorni e che oggi rimane come un segno immobile del potere di resistere e custodire.
Non si tratta di un borgo turistico nel senso più commerciale del termine, perché a Pacentro non ci sono insegne invasive né locali di tendenza, ma troverai invece osterie familiari, piccole botteghe artigiane, e una comunità che vive ancora secondo ritmi propri. Questo equilibrio tra autenticità e accoglienza lo rende una meta perfetta per chi cerca una bellezza sincera, non filtrata, non adottata dal consumismo.

La cucina delle donne: un sapere tramandato tra fuochi e stagioni
Se c’è un elemento che definisce Pacentro tanto quanto la pietra ed è il cibo, ma più precisamente, il modo in cui il cibo viene ancora pensato, preparato e servito. Qui, la cucina è donna ed è fatta di mani che conoscono le dosi a occhio, di sapori che seguono le stagioni, di ingredienti poveri trasformati in piatti memorabili.
Non si tratta solo di cucina contadina, ma di una sapienza antica, che affonda le radici nella ritualità quotidiana.
Le donne di Pacentro hanno sempre cucinato per molti: per le famiglie numerose, per le feste, per gli emigranti che tornavano solo a Ferragosto. I piatti simbolo del borgo sono il frutto di questo sapere collettivo: le sagne ( tipo tagliatelle ma più corte e sottili) fatte in casa, tagliate a mano e condite con sugo di pecora o con legumi; i cazzarielli e fagioli, densi, avvolgenti, da mangiare lentamente. Ogni casa ha la sua variante e ogni donna la propria “ricetta segreta” che passa di madre in figlia.
Non esistono scorciatoie ovviamente e per preparare un buon piatto servono tempo, attenzione e rispetto. Le conserve di pomodoro si fanno ancora a fine estate, tutti insieme, con pentoloni all’aperto e una catena di montaggio che unisce generazioni.
I dolci, come le ferratelle o i calcionetti, sono fatti rigorosamente a mano, uno per uno e quindi nulla è lasciato al caso. La cucina qui è una forma di memoria attiva, un modo per dire “ci siamo ancora”.
Tradizioni culinarie e cultura orale: un intreccio ancora vivo
Pacentro non è solo un luogo da vedere, è un luogo da ascoltare: i racconti legati al cibo si intrecciano spesso con la storia del paese. Le donne ricordano le ricette mentre raccontano la fame della guerra, i Natali senza elettricità, i mariti partiti per l’America. Ogni piatto ha una storia, e ogni storia ha un sapore e questo legame tra cucina e oralità è uno degli aspetti più sorprendenti della vita di paese: cucinare non è solo nutrire, è tramandare.
Molte di queste narrazioni sono oggi raccolte anche grazie all’impegno di studiosi e associazioni locali. Un esempio è il progetto Pink Panel, che ha messo in luce il ruolo fondamentale delle donne nella trasmissione dei saperi gastronomici, estendendo la riflessione anche all’importanza dell’inclusività in tutte le sue forme nella società contemporanea.
Nato con l’idea di creare un panel di assaggio tutto al femminile, prevede degustazioni di vini alla cieca – cioè con etichette coperte – per elaborare schede originali di abbinamento vino-cibo, senza attribuire punteggi, il Pink Panel si propone anche come un segnale concreto contro gli stereotipi legati all’identità di genere, arricchendo le degustazioni con visite a cantine e laboratori gastronomici, e con esperienze attive come itinerari turistici e culturali.
Anche durante le feste religiose e le ricorrenze stagionali, la cucina delle donne è protagonista, ad esempio il giorno di San Marco, la preparazione del pane benedetto diventa un atto collettivo, in cui le anziane del paese si riuniscono per impastare, intrecciare, infornare. La festa è anche questo: riunirsi attorno a una tavola, condividere pane e storie.

Ospitalità autentica: dormire e mangiare a Pacentro
Chi sceglie di fermarsi a Pacentro, anche solo per una notte, scopre una forma di accoglienza diversa dal consueto, visto che le strutture ricettive sono spesso piccole case ristrutturate, bed and breakfast gestiti da famiglie che accolgono l’ospite con semplicità, nessun fronzolo, ma molto calore.
Le osterie e le trattorie del borgo offrono un’esperienza gastronomica che riflette perfettamente il territorio. Un posto da non perdere è L’ antica Locanda, dove è possibile assaggiare piatti tipici cucinati secondo le ricette originali, senza compromessi. I gestori raccontano con orgoglio l’origine di ogni piatto, e spesso capita che la cuoca venga a chiedere com’è andata direttamente al tavolo.
Anche le botteghe sono parte dell’esperienza perché i piccoli negozi di alimentari vendono formaggi locali, salumi artigianali, miele di montagna e liquori fatti in casa.
È in questi luoghi che si coglie l’essenza di un paese che vive ancora della sua identità, senza svendersi.

Tra emigrazione e ritorni: l’altra faccia della memoria
Pacentro è stato per decenni un paese di partenza: tanti, troppi, sono partiti verso il nord, verso l’estero, in cerca di un lavoro, di una vita diversa. Ancora oggi, molte case del borgo sono chiuse per gran parte dell’anno, e si riaprono solo in estate, quando le famiglie tornano per ritrovare le radici. È un fenomeno che ha segnato profondamente la cultura locale, ma che ha anche lasciato un’eredità forte: la consapevolezza di avere qualcosa da custodire.
Ma negli ultimi anni si è visto un po’ un’inversione di rotta e molti dei figli e dei nipoti degli emigrati tornano oggi a Pacentro non solo per le vacanze, ma per riscoprire le origini e, tanti di loro, si fermano a viverci per sempre. Alcuni aprono attività, ristrutturano case, organizzano eventi.
Questo movimento di ritorno sta dando nuova linfa al borgo, senza però alterarne l’equilibrio e l’identità resta forte, e la cucina delle donne continua ad essere il cuore pulsante di questa rinascita silenziosa.

Un Abruzzo che resiste: vivere (o tornare a vivere) Pacentro
Pacentro non è un luogo da visitare frettolosamente. Va vissuto con lentezza, con rispetto. È un’esperienza che ha bisogno di tempo, di silenzio, di occhi attenti. Non è un paese che si mostra, ma uno che si racconta, se gliene si dà la possibilità.
La pietra, la cucina, le donne: tutto qui parla di resistenza. Di un modo diverso.

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